NOVELLA N.CXIV
Dante Alighieri rimprovera un fabbro e un asinaio per il loro
errore, perché con un nuovo “Volgare” cantavano il suo libro.
Il grandissimo poeta “volgare”, la cui fama non verrà mai
meno, Dante Alighieri, fiorentino, in Firenze abitava vicino alla famiglia
degli Adimari. Un giovane cavaliere di quella famiglia fu accusato di non so
quale delitto e doveva essere giudicato da un giudice che era amico di Dante.
Per questo il poeta fu pregato dal
cavaliere di raccomandarlo al giudice. Dante rispose che l’avrebbe fatto
volentieri.
Dopo pranzo ,uscì di casa per risolvere la faccenda. Passando
per Porta san Pietro udì un fabbro che, mentre batteva sull’incudine, cantava
le opere di Dante a modo suo, come un cantastorie canta una storia, mescolando
i versi danteschi con versi suoi, smozzicando e farfugliando, in modo che
pareva al poeta una grandissima offesa.
Senza proferir parola Dante si avvicinò alla bottega del
fabbro, dove quello aveva tutti i ferri per la sua arte. Il poeta afferrò il
martello e lo gettò in strada, prese le tenaglie e le gettò via, prese le
bilance e le gettò via, e così gettò in strada molti altri ferri. Il fabbro si infuriò
come una bestia. Dante disse << Tu che fai ?>>. Il fabbro
rispose<< Faccio la mia arte e voi mi rovinate tutti i miei attrezzi,
gettandoli per strada>>. Dante di rimando <<Se non vuoi che io
guasti le tue cose, non guastare le mie>>. E il fabbro << E che mai
ti guasto io ?>>. E Dante ancora <<Tu canti il mio libro, e non lo
dici come io lo feci; io ho solo quell’arte e tu me la guasti >>.
Il fabbro ,adirato, non sapendo che rispondere, prese i suoi
attrezzi e ritornò al suo lavoro. E se volle cantare, cantò di Tristano e di
Lancillotto e lasciò stare Dante.
Dante, dal canto suo, riprese il suo cammino e andò dal
giudice. Mentre andava, considerava che il cavaliere degli Adimari ,che l’aveva
pregato, era proprio superbo e poco simpatico ,quando andava per la città.
Infatti, soprattutto quando era a cavallo, procedeva con le gambe aperte e
occupava tutta la strada, se non era troppo larga, in modo che chi passava di
là gli toccava la punta delle scarpe. A Dante, cui non sfuggiva nulla, non
erano mai piaciuti questi comportamenti.
Giunto dal giudice, il poeta gli disse << Voi dovete
giudicare un certo cavaliere per
un delitto, io ve lo raccomando, anche se egli ha dei modi
tali che meriterebbe una pena maggiore; infatti è un delitto grandissimo
usurpare ciò che appartiene al Comune>>. Dante non parlò a un sordo;
infatti il giudice domandò quale cosa del Comune il cavaliere aveva usurpato.
Il poeta rispose che, quando l’Adimari cavalcava per la città, andava a cavallo
con le gambe così aperte che chi veniva dall’altra parte della strada doveva
tornare indietro perché non poteva passare.
Subito il giudice ribattè <<E questo ti pare poco ?
questo delitto è maggiore dell’altro>>. E Dante << Allora, io che
sono suo vicino, te lo raccomando>>.
Quando tornò a casa, il cavaliere gli domandò com’era andata
la cosa ed egli disse << Mi ha risposto bene>>.
Dopo alcuni giorni il cavaliere fu chiamato per essere
interrogato. Egli si presentò e il giudice, dopo avergli letto la prima, gli
fece leggere la seconda accusa che riguardava il suo cavalcare con le gambe
troppo larghe.
L’Adimari, sentendosi raddoppiare le pene, pensò tra sé
<<Che bell’affare che ho fatto, dopo la raccomandazione di Dante, credevo
di essere prosciolto, invece sono stato condannato doppiamente>>.
Dopo essersi scusato, l’accusato tornò a casa. Trovando Dante
gli disse << Che bel servizio mi hai fatto; prima che andassi tu il
giudice mi voleva condannare per una cosa. Dopo il tuo intervento mi vuole
condannare per due>>. E , molto adirato contro Dante, continuò <<
Se mi condannerà ve la farò pagare caramente>>. Dante,senza scomporsi,
rispose <<Io vi ho raccomandato come se foste figlio mio, se poi il
giudice farà diversamente, non sono io il motivo>>.
Il cavaliere infuriato se ne andò a casa. Dopo pochi giorni
fu condannato a pagare mille lire per il primo delitto e mille lire per il suo
cavalcare a gambe larghe. Ma non potè vendicarsi e sgozzarlo come aveva
promesso, né lui ,né tutta la famiglia degli Adimari. Infatti Dante, dopo poco
tempo, come guelfo bianco, fu cacciato da Firenze e morì in esilio nella città
di Ravenna, non senza vergogna per il suo Comune.
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