venerdì 21 aprile 2017

NOVELLA CLIX (159)

                                            NOVELLA  CLIX (159)
Un cavalluccio di Rinuccio di Nello si scioglie per correre dietro a una cavalla di Firenze. Rinuccio, per seguirlo, mette in subbuglio e fa correre dietro a lui la maggior parte dei Fiorentini.
Non molto tempo fa viveva a Firenze un cittadino anziano di anni ma di costumi giovanili, di nome Rinuccio di Nello. Discendente da una famiglia molto antica, abitava presso Santa Maria Maggiore. Costui aveva un cavallo per cavalcare più giovane di lui. Ne aveva tanti, di non so quale razza, tutti uno più sgraziato dell’altro. Tra quelli che ebbe negli ultimi anni della sua vita ve ne era uno che pareva un cammello, con la schiena che pareva una montagna e la testa di Mandragola. Il groppone pareva quello di un bue rinsecchito. Quando Rinuccio lo spronava si muoveva di scatto, come se fosse di legno, alzando il muso verso il cielo. Sembrava sempre addormentato, si svegliava solo quando vedeva una ronzina, allora, rizzando la coda, nitriva e si scuoteva. Anche se tranquillo, il cavallo veniva legato perché spesso se ne andava a mordicchiare semi di paglia e ghiande per la biada.
Un giorno , Rinuccio, volendo cavalcare, aveva legato il cavallo nella via. Frattanto nella piazza dove si vendevano legne, che era di fronte a casa sua, venne una ronzina che, scioltasi dall’arpione, cominciò a fuggire per la via dove era legato il cavallo. Come quello sentì la giumenta che correva, tirò su la testa con tanta forza che ruppe le briglie che erano molto forti. Infatti Rinuccio le aveva le aveva fatte fare così perché mostrava a tutti come il suo cavallo fosse così forte che a stento si poteva governare. Dunque, tirata su la testa con tutta la forza del corpo, spezzò la briglia e inseguì furiosa, com’è usanza degli stalloni, la cavalla verso Santa Maria Maggiore.
Rinuccio, che stava per uscire di casa e montare a cavallo, sentì un gran frastuono di uomini che correvano dietro al cavallo. Si affacciò e non trovò il cavallo, domandò dove era andato. Un calzolai gli disse << Rinuccio mio, il vostro cavallo va dietro ad una cavalla con la mazza tesa, e, nella piazza di Santa Maria Maggiore sembra che le è saltato addosso. Soccorretelo perché potrebbe farsi male>>.Rinuccio, senza parlare, si mise a correre, cadendo più volte e andando per stradine poco conosciute giunse al Mercato vecchio. Giunto lì, vide il cavallo addosso alla ronzina e cominciò a gridare << San Giorgio, San Giorgio!>>.I rigattieri, udendo il rumore, cominciarono a chiudere le botteghe. Le bestie entrarono tra i beccai, che allora stavano all’aperto in mezzo alla piazza ,giungendo al banco di uno che si chiamava Giano che vendeva le vitelle.
La ronzina si gettò sul banco e il cavallo le andò dietro, in modo che Giano, poco esperto, quasi morì per la paura. I pezzi di vitelle di latte, che erano disposte sul banco, furono calpestate e si trasformarono in pezzi di vitella di fango. Giano ,mezzo scimunito, fuggì nella bottega di uno speziale, gridando << Oimè, sono distrutto!>>. Il padrone della ronzina andava dietro con un bastone e volendo frenare la concupiscenza della carne dava grandi bastonate sia al cavallo che alla giumenta. Spesse volte, quando colpiva il cavallo, Rinuccio gli si gettava addosso gridando <<Per Santo Lai, quello che dai al mio cavallo, lo darò a te >>. Con questo frastuono giunsero a Calimola dove tutti i sarti raccolsero  i panni e chiusero le botteghe, chiedendosi che cosa stava succedendo. Molti seguivano le bestie, le quali, svoltando nella stradina che portava in Orto San Michele, entrarono tra i venditori di grano e le ceste di grano che si vendeva sotto il palazzo dov’è l’oratorio e molti venditori si agitarono. E i ciechi , che stavano sempre numerosi nel luogo detto il Pilastro, sentendo il rumore ed essendo spinti e travolti, non conoscendo l’origine del rumore, si colpivano l’un l’altro, a destra e a manca, con i loro bastoni. Molti di quelli che venivano colpiti con i bastoni, non sapendo che si trattava di ciechi, chiedevano il motivo delle bastonate. Altri, che sapevano che erano ciechi, li rimproveravano e reagivano contro di loro in uno scambio di colpi. Così chi di qua ,chi di là, chi per un verso, chi per l’altro, fecero un gran casino. Mentre tutti si azzuffavano in varie mischie ,i ronzini scalciavano, non essendosi ancora attenuato il calore amoroso del cavallo, anzi essendosi accresciuto.
Mentre Rinuccio e il padrone della puledra lottavano tra loro, giunsero nella piazza dei Priori. I Priori che erano nel palazzo, vedendo tanta folla tumultuosa giungere da ogni parte, cedettero che ci fosse un tumulto. Si chiuse il palazzo e si armò la famiglia e la schiera del capitano e del boia. La piazza era tutta piana, una parte combatteva, un’altra parte di parenti e amici stava dietro a Bucigalasso e a Rinuccio per aiutarlo, che non ce la faceva più.
Finalmente, come volle la Fortuna, il cavallo e la ronzina, quasi uniti ,entrarono nel cortile del boia. Quello, molto spaventato, pensava che il furore del popolo fosse dovuto ad uno che egli doveva giustiziare, ma molti erano contrari. Allora fuggì dietro al letto di un notaio, ed entrò sotto la lettiera, avendo già le sue armi. Mentre il popolo bussava con i pugni, la porta del boia fu serrata, e, a gran fatica, furono presi il cavallo e la giumenta. Tutti e due gocciolanti di sudore.
Rinuccio, dal canto suo, era più morto che vivo, non sudava più perché il sudore si era seccato, le rotelle degli speroni gli erano entrate sotto le piante dei piedi e glieli avevano lacerati.
I Signori, rassicurati, poiché avevano capito che cosa era, mandarono i soldati e i servi a calmare la zuffa, che fu sedata con molta fatica.                               


giovedì 16 marzo 2017

NOVELLA N.CLI (151)

                                          NOVELLA N.CLI (151)

Fazio da Pisa voleva fare l’astrologo e indovinare il futuro davanti a molti uomini valenti. Franco Sacchetti gli pose, allora, una serie di domande alle quali non seppe rispondere e lo mise in difficoltà.

Io, scrittore, mi trovavo nella città i Genova già da diversi anni. Un giorno ero nella piazza dei mercanti insieme ad un gran numero di uomini saggi esiliati da vari paesi , tra i quali messer Giovanni d’Agnello, doge di Pisa,esiliato con alcuni parenti. Vi erano poi alcuni lucchesi, mandati via da Lucca, alcuni senesi, che non potevano stare a Siena, ed alcuni genovesi.
Si cominciò a discutere di quelle cose di cui parlano spesso coloro che sono lontani dalla propria casa : di novità, di bugie, di speranze ed infine di astrologia. Quello che parlava più efficacemente era un tale fuoriuscito da Pisa, di nome Fazio. Egli diceva che da molti segni del cielo comprendeva che chiunque fosse stato esiliato entro l’anno poteva farvi ritorno, aggiungendo che vedeva ciò per profezia.
Io ribattevo che delle cose future, che dovevano ancora venire, né lui né altri potevano essere certi. Egli ,contrastandomi, mi derideva come se fosse Alfonso X di Castiglia e Tolomeo, entrambi astronomi. Come se egli vedesse con chiarezza il futuro, mentre io non riuscivo a vedere neppure il presente. Allora io gli dissi << Fazio, tu che sei un grandissimo astronomo, rispondimi davanti a costoro. Che è più facile sapere, le cose passate o quelle che devono venire ?>>. Fazio disse << E chi non lo sa? E’ smemorato chi non ricorda le cose passate , ma quelle che devono venire non si sanno molto facilmente>>. Allora io dissi <vediamo se ti ricordi le cose passate che, tu dici, sono facili da ricordare. Che cosa facesti quel tal giorno, un anno fa ?>>. Mentre pensava, io continuavo << Dimmi ora che cosa facesti sei mesi fa ?>>. Quello si smarriva e io rincaravo la dose chiedendo che cosa aveva fatto tre mesi prima. Quello mi guardò come uno stralunato, riflettendo. Io incalzavo domandando dove era stato due mesi prima alla stessa ora. Il poverino si confondeva sempre di più. Allora lo afferrai per il mantello e gli dissi <<Sta un po’ fermo e dimmi quale nave giunse qui un mese fa e quale partì ?>>. Ormai Fazio era completamente fuso. Allora continuai << Che guardi ? mangiasti a casa tua quindici giorni fa o a casa d’altri? >>. Egli mi chiese di avere un po’ di pazienza, mentre io, implacabile, incalzavo << Che cosa facesti otto giorni fa a quest’ora ? che cosa mangiasti quattro giorni fa ? >>. Ed egli << te lo dirò. Ma lasciami pensare. Tu hai troppa fretta>>. Implacabile, continuavo << Dimmi, orsù, che cosa mangiasti ieri mattina ? o non me lo vuoi dire ?>>. Quello ammutolì del tutto. Vedendolo così smarrito ,lo presi per il mantello e gli dissi << Scommetto che non sai se sei sveglio o stai sognando>>. Ed egli << Per la miseria, so bene che sono sveglio >>. Il Pisano disse <<Tu hai troppi sofismi per la testa >>. Ed io << Non sono sillogismi, dico cose naturali, tu, invece, insegni cose inafferrabili. Ti voglio chiedere una cosa. Hai mai mangiato delle nespole ?>>. E il Pisano rispose << Mille volte>>. Ed io <<Allora dimmi, quanti noccioli ha una nespola ?>>. << Non so. Non ci ho mai fatto caso >>. << E se non sai una cosa così importante, come poi sapere le cose del cielo ? Andiamo avanti, quanti anni sei stato nella casa che abiti ?>> << Ci sono stato sei anni e alcuni mesi>>.<< Quante volte hai salito e sceso la tua scala ?>>. << Qualche volta quattro, altre sei, altre otto >> .<< E quanti gradini ha quella ?>>. Il Pisano, stremato, disse << Basta, te la do vinta>>. Subito gli risposi << Devi dire che ho vinto a ragione, e che tu e gli astrologi volete indovinare con le vostre fantasie e siete più poveri della pietra. Ho sempre sentito dire che il vero indovino sarebbe ricco. Vedi tu che bell’indovino sei e quale grande ricchezza è con te>>.
E la verità è che tutti quelli che di notte guardano il cielo stando sui tetti come i gatti, hanno gli occhi rivolti verso il cielo tanto che perdono di vista la terra e restano poveri in canna. Dopo che confusi con le mie argomentazioni Fazio Pisano, alcuni uomini importanti mi chiesero se avevo trovato le cose dette in qualche libro. Io risposi che le avevo trovate in un libro che portavo sempre con me e si chiamava “Cerbacane” (cervello). Essi rimasero contenti e si meravigliarono.
      



domenica 5 febbraio 2017

NOVELLA N.CXLIIX (147)

NOVELLA N.CXLVII

Un ricco con i soldi , volendo evitare di pagare la gabella, si riempie le brache di uova. I gabellieri, che erano  stati informati, quando passa lo fanno sedere e rompe tutte le uova, rimanendo tutto impiastricciato sotto ; e costretto a pagare e viene deriso.

La novella appena detta me ne fa ricordare un’altra di un ricco fiorentino più misero e avaro di re Mida. Costui , per non pagare la gabella di meno di sei denari, pagò molto di più, con danno e vergogna, sebbene avesse armato il culo con una corazza di gusci di uova.
Vi fu , dunque, un ricco che possedeva ben ventimila fiorini, di nome Antonio (non voglio dire il soprannome per riguardo ai suoi parenti), il quale ,mentre era in campagna, voleva mandare a Firenze 24 o 30 uova. Allora il cameriere gli disse << Bisogna pagare la gabella di un denaro ogni 4 uova>>. Come Antonio udì questo prese il cesto e se ne andò in camera dicendo << Il risparmio è buono in ogni tempo, io voglio risparmiare questi denari>>. Detto questo, si alzò e si cominciò a mettere le uova, a quattro a quattro, nelle brache.
Inutilmente il servitore gli diceva che in quel modo non avrebbe potuto camminare. Antonio rispose che le sue mutande erano così larghe che avrebbero potuto contenere non solo le uova ma anche le galline che le avevano fatte. Il servitore si fece il segno della croce e, senza aggiungere altro, si allontanò.
Antonio, fatto il suo carico, si mise in cammino, camminando a gambe larghe, come se avesse avuto nelle brache due pettini da stoffa. Quando giunse alla porta della città , disse al servitore di andare a chiedere ai gabellieri di tenere ancora un po’ aperta la porta. Quello ,giunto, non potè trattenersi dal raccontare ad uno dei gabellieri, in gran segreto, il fatto.
Il gabelliere disse ai suoi colleghi << Vi racconterò la più bella novella che udiste mai. Fra poco passerà di qui uno che ha le brache piene di uova>>. Un altro rispose << lasciate fare a me e vedrete un bel gioco>>. Quest’ultimo, quando giunse Antonio, lo invitò a bere del vino con lui, tirandolo per il mantello e costringendolo a sedersi su una panca, sebbene lo sventurato non volesse.Come Antonio si sedette si sentì un gran rumore, come se si fosse seduto su un sacco di vetri. Subito i gabellieri gli chiesero <<Che cosa hai sotto, che ha fatto un  così gran rumore ? alzati un poco>>. Disse il capo gabelliere <<Antonio tu ci devi permettere di fare il nostro lavoro. Noi vogliamo vedere che cosa hai sotto che ha fatto un rumore così grande>>. Subito Antonio rispose <<Io non ho fatto nulla>> e alzò il mantello dicendo << Sarà questa panca che avrà cigolato>>. Il gabelliere di rimando <<Non è rumore di panca questo, se tu alzi il mantello ,il problema deve essere altrove>>. Lo fecero alzare e, a poco a poco, un liquido giallo cominciò a scendere giù per le calze. Subito vollero vedere le brache, da cui sembrava venire quel liquido. Subito si chiarì il mistero, il meschino aveva le calze piene di uova.
Antonio disse << State tranquilli, sono tutte rotte, non sapevo dove metterle, ma è una piccola cosa, quanto alla gabella>>. I gabellieri immediatamente considerarono che le uova dovevano essere parecchie dozzine e lui precisò che erano una trentina. Ma i gabellieri non gli prestarono fede e dissero << Sembrate un buon uomo e giurate di essere leale; ma come vi dobbiamo credere se frodate il nostro Comune per una cosa così piccola ? che cosa fareste ancora peggio per una più grande? E sapete come si dice << A un cane che lecca cenere non gli affidar farina.Orsù, lasciateci un pegno e domani mattina andate dai magistrati a dire questo fatto>>. Antono disse << Oimè, sarei preso in giro, prendete ciò che volete>>.
Dopo aver contrattato con i gabellieri, mise mano alla borsa e pagò otto  soldi, poi ne dette loro uno grosso e disse << prendete e bevete domani mattina,ma,vi prego, non fatene parola con nessuno >>. Tutti lo rassicurarono ed egli partì col culo tutto impiastricciato nella melma. Giunto a casa, la moglie gli disse <<Io credevo che rimanessi fuori, ma che hai fatto?>>. << Niente, non so>> e ,frattanto, si metteva le mani dietro al sedere e camminava come un ammalato.
La moglie gli chiese se era caduto. Allora cominciò a raccontare ciò che gli era accaduto. La donna, informata, cominciò a dire << o pazzo sventurato, ma tu sentisti mai o in favola o in canzone una cosa del genere ? hanno fatto bene i gabellieri che ti hanno canzonato, come ti sei meritato>>. Nonostante l’invito del marito a tranquillizzarsi, la donna continuava << Come posso star quieta, sia maledetta la tua ricchezza che ti porta a tanta miseria. Volevi covare le uova come le galline quando nascono i pulcini ? Non ti vergogni, quando la notizia si diffonderà in tutta Firenze tu sarai canzonato da tutti>>.L’uomo ripeteva che i gabellieri gli avevano promesso di tacere, ma la moglie non gli credeva. E a nulla valeva la richiesta di farla finita, perché anche lei qualche volta aveva sbagliato. La donna rispondeva <<Ma si posso aver sbagliato, ma non mi sono mai messa le uova nelle brache>>. E subito l’uomo << ma tu non le porti>>. Ed ella in risposta << Sono fatti miei se non le porto, seppure le portassi, vorrei cecarmi prima di fare quello che hai fatto tu; non avrei più il coraggio di comparire tra le persone. Quanto più ci penso, più divento matta, che tu per due denari ti sei fregato per sempre. Se tu capissi bene quello che hai fatto, non dovresti rallegrarti mai più. Io non apparirò più tra le donne senza vergognarmi, temendo che esse dicano : vedi la moglie di colui che portò le uova nelle brache >>.
Antonio, goffo e ignorante, comprese che la donna aveva ragione e la pregò di starsene zitta, di non divulgare la cosa e di darsi pace una buona volta, oppure di vendicarsi su di lui. Così la donna si calmò e promise che, per il futuro, avrebbe campato il meglio che poteva.
Noi possiamo dire spesse volte che le donne sono più prudenti degli uomini. Infatti in questo modo ella comprese l’ignoranza e la stupidità del marito. Per questo fu molto considerata tra le donne, al contrario del marito tra gli uomini. Le chiacchiere, un po’ alla volta, vennero meno, ma non a Firenze, dove se ne parlò per sempre con divertimento e scherno per l’amico.
Antonio, toltosi le mutande, perché la domestica non se ne accorgesse, la mattina dopo si fece preparare un pentolone di acqua calda con la cenere. Fece versare l’acqua nella vasca dei panni, poi, la sera, se ne fece preparare un altro con cui si lavò il culo, per evitare che le lenzuola ingiallissero tanti erano i tuorli d’uovo, gli albumi e i gusci incrostati e appiccicati al sedere.
Tutto questo il tapino lo guadagnò per non pagare una gabella di trenta uova. Per questo fu sbeffeggiato tanto che di questo fatto se ne parlò allora e ancora oggi se ne parla più che mai.


martedì 24 gennaio 2017

NOVELLA N.CXXIII (123)

                                            NOVELLA N.CXXIII
Vitale da Pietra Santa, per suggerimento della moglie ,dice al figlio, che ha studiato legge, di tagliare un cappone per “grammatica”. Il figlio taglia in modo che, tolta la sua parte, agli altri rimane ben poco.

Abitava un tempo nel Castello di Pietra Santa, in quel di Lucca, un castellano di nome Vitale. Secondo l’opinione della zona, cittadino ricco e rispettabile. La moglie, morendo, gli lasciò un figlio di venti anni e due figlie femmine, di sette e di dieci anni. Poiché il figlio era molto bravo in latino egli pensò di farlo studiare legge e per questo lo mandò a Bologna.
Mentre il ragazzo era a Bologna, Vitale prese moglie nuovamente. Frattanto aveva notizie che il figlio era diventato bravissimo. E, poiché il giovane aveva bisogno di danari, ora per i libri ora per le spese del vivere, gli mandava alcune volte quaranta, altre cinquanta fiorini. E ,in tal modo, la casa si svuotava molto di denaro.
La moglie di Vitale e matrigna dello studente, vedendo che il marito mandava continuamente denari a Bologna, pensando che questo diminuisse le sue entrate, cominciò a mormorare. E diceva al marito <<Butta via tutti questi soldi; mandali a tuo figlio e non sai che fine fanno>>. E L’uomo rispondeva << Moglie mia, che dici? Non pensi che questo ci procurerà onore e utilità? Se questo figlio diventerà giudice e poi dottore laureato, noi saremo esaltati per l’eternità>>. E la donna di rimando << Non so che eternità. Certamente credo che tu sia ingannato e che costui ,al quale mandi tutti questi soldi, sia un peso morto e tu ti consumi per lui>>. In tal modo la donna aveva preso l’abitudine di chiamare “peso morto” il ragazzo cui il marito mandava i denari e litigava continuamente con lui per questo motivo.
Stando così le cose, alle orecchie del giovane, che studiava a Bologna, giunse la notizia dei litigi tra il padre e la moglie per colpa sua e che la donna lo chiamava “peso morto”. Egli se lo tenne bene a mente.
Dopo molti anni che era stato a Bologna ed aveva studiato legge con molto impegno, ritornò a Pietra Santa per vedere il padre e la sua nuova famiglia. Il padre lo accolse con grande gioia e , per festeggiare, fece tirare il collo ad un cappone e ordinò di farlo arrosto. Invitò poi a cena anche il prete, loro parroco.
All’ora di cena si misero a tavola. A capotavola il prete, ai lati di lui il padre e la matrigna, di seguito le due figlie, che erano in età da marito. Il giovane si mise a sedere lontano dal tavolo, su uno sgabello.
Portato in tavola il cappone, la matrigna, che guardava in cagnesco il figliastro, disse sottovoce al marito di far dividere al figlio il cappone “per grammatica”. Così avrebbe potuto controllare se aveva imparato qualcosa. L’uomo subito disse al giovane << Visto che sei fuori dalla tavola , tocca a te tagliare, ma mi raccomando di tagliarlo “per grammatica””, secondo la maniera latina>>. Il figlio ,sorridendo, rispose << Molto volentieri>>.
Messosi il cappone davanti, prese il coltello, tagliò la cresta, la pose su un tagliere e la dette al prete dicendo << voi siete il nostro padre spirituale e portate la chierica, perciò vi do la chierica del cappone, cioè la cresta >>. Poi tagliò il capo e lo diede al padre dicendo << Siccome voi siete il capo della famiglia, vi do il capo>>. Poi tagliò le mani e i piedi e li dette alla matrigna dicendo << Siccome a voi tocca fare le faccende nella masseria e andare su e giù per la casa con le gambe, vi do le mani e le gambe>>. Poi tagliò le punte delle ali, le pose sul tagliere, le diede alle sorelle e disse << Conviene , ormai, che queste debbano uscire di casa e volare fuori. Per questo conviene che abbiano le ali che adesso io do a loro. Io sono un corpo morto, e questa è la pura verità, come confesso. Perciò, da parte mia, mi terrò questo corpo morto>>. E cominciò a tagliare e a mangiare avidamente.
La matrigna, che prima l’aveva guardato in cagnesco, ora lo guardò con odio. Rivolta al marito gli disse piano << Gioisci, recupera ora la spesa che hai fatto >>.
Tutti protestarono che il cappone doveva essere tagliato “in volgare”, con semplicità, soprattutto il prete che, guardando la cresta, fu preso dalle convulsioni.
Dopo pochi giorni, il giovane ,ritornando a Bologna, ridendo spiegò a tutti perché aveva tagliato il cappone in quel modo. Soprattutto si rivolse alla matrigna, dimostrandole, scherzando, il suo errore.Si accomiatò da tutti con amore, anche dalla matrigna, anche se credo che ella, in cuor suo, dicesse << Va e possa non tornare più>>.