NOVELLA N.XI (11)
Alberto da Siena è citato a giudizio dall’inquisitore e, per
paura , si raccomanda a messer Guccio Tolomei………
Al tempo di messer Guccio Tolomei viveva in Siena un
simpatico uomo semplice e non malizioso come Dolcibene. Era balbuziente e si
chiamava Alberto. Era molto ingenuo e frequentava spesso la casa di messer
Guccio, con grande divertimento del signore.
Un giorno di Quaresima, messer Guccio era in compagnia
dell’inquisitore, suo grande amico. Per scherzare un po’ gli disse di chiamare
davanti a lui Alberto e di accusarlo di eresia, perché sicuramente si sarebbero
divertiti un mondo. Appena disse queste cose , subito l’inquisitore convocò Alberto
per il giorno dopo, di buon ora. Alberto, tutto tremante, potè appena dire
“verrò”, perché, se prima era balbuziente, ora, per la paura, aveva quasi persa
la lingua. Poi si recò immediatamente a messer Guccio e gli riferì di essere
stato chiamato dal’inquisitore forse per l’accusa di eresia patarina. Il
signore gli chiese se avesse detto qualcosa contro la fede cattolica. Alberto
rispose che non sapeva che cos’era la fede “calonica” ma credeva di essere
stato battezzato. Messer Guccio gli consigliò di andare dal vescovo e gli
promise che sarebbe andato anche lui poco dopo. Gli promise anche che, poiché
l’inquisitore gli era molto amico, sarebbe intervenuto in suo favore. Alberto
si avviò, affidandosi al Signore.
Il vescovo, come lo vide, l’apostrofò con volto severo,
chiedendogli chi fosse. Il meschino, balbuziente e tremante di paura, rispose
“Sono Alberto, che voi faceste chiamare”. Il vescovo di rimando “Ho capito
bene, tu ,dunque, sei quell’Alberto che non crede né a Dio, né ai Santi?”.
“Signor mio, io credo in ogni cosa, chi vi ha riferito ciò non dice la verità”
disse ,a sua volta, lo sventurato. E il vescovo continuò “Se tu credi in ogni
cosa, credi anche nel diavolo; questo mi basta per arderti ,come patarino”.
Alberto, mezzo morto, chiese misericordia e il vescovo allora gli ordinò di
recitare il Paternostro. E Alberto incominciò, balbettando giunse ad un passo
difficile dove si dice “da nobis hodie” e non riusciva a pronunciare
quelle tre parole.
Allora l’inquisitore disse “Ho capito ,Alberto, perché chi è
patarino non può dire le cose sante, torna da me domani mattina e io ti farò il
processo che tu meriti”.
Il pover’uomo se ne tornò a casa sconfortato. Per la strada
incontrò messer Guccio Tolomei che stava andando dall’inquisitore, come aveva
promesso.
Come lo vide gli disse” Alberto, si vede che le cose vanno
bene, perché tu già sei di ritorno”. Quello gli rispose “ Perbacco, non vanno
bene per niente, perché dice che sono patarino e devo ritornare da lui domani
mattina. Poco mancò che quella puttana di donna Bisodia (deformazione da “da
nobis hodie”), che è nominata nel Paternostro non mi facesse morire allora
,allora. Vi prego di andare da lui per farmi una raccomandazione”.Messer Guccio
promise di andare e di fare tutto il
possibile.
E così quel burlone andò dall’inquisitore e gli raccontò la
storia di donna Bisodia, grazie alla quale si fecero per due ore grandissime
risate.
Poi, chiamato di nuovo lo sventurato, l’inquisitore gli fece
credere che se non fosse stato per messer Guccio l’avrebbe fatto ardere.
E veramente se lo meritava, perché, oltre tutto aveva detto
che donna Bisodia, senza la quale non si poteva cantar messa, era una puttana,
e gli intimò di non dirlo mai più.
Alberto, invocando misericordia, promise di non dirlo mai più
e, morto di paura, se ne tornò a casa con messer Guccio, il quale, solo al
pensiero, si sganasciava dalle risate.
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